Pubblicato il 24 giu 2025 • 5 minuti di lettura
La dipendenza da lavoro può sembrare una scelta, una forma estrema di dedizione, ma spesso è una fuga travestita da impegno. Magari ti sei detto che è solo un periodo intenso, che serve stringere i denti. Intanto però non riesci più a staccare, anche quando sei esausto. Ogni pausa ti fa sentire in colpa, ogni momento vuoto ti mette a disagio. Ti alzi già stanco, ma continui a spingere come se dovessi sempre dimostrare qualcosa.
È come se lavorare tanto ti facesse sentire al sicuro, quasi a proteggerti da quel senso di non sentirti mai abbastanza. E allora vai avanti, senza mai davvero fermarti, come se la produttività potesse colmare un vuoto più profondo. Il problema è che, a forza di correre, rischi di perdere il contatto con te stesso.
La iperproduttività cronica non è solo stanchezza fisica: è un logorio mentale che ti svuota piano piano, fino a farti dimenticare cosa ti fa stare bene davvero.
Non è una questione di forza di volontà, e non è nemmeno una questione di ambizione. A volte si lavora troppo non per raggiungere qualcosa, ma per non sentire tutto il resto. E lì, inizia il vero problema.
Quando passi da un’attività all’altra senza mai fermarti, forse non lo fai solo per senso del dovere. A volte riempire ogni secondo di lavoro diventa un modo per non pensare, per non sentire, per restare in superficie. Può sembrare strano, ma è più facile gestire un’agenda piena che affrontare certe emozioni. Dietro alla dipendenza da lavoro c’è spesso una forma di autoprotezione: non ti fermi perché hai paura di cosa potrebbe emergere nel silenzio. Così tieni la mente occupata, magari per non sentire ansia, tristezza, vuoto.
Un altro segnale forte è la ricerca continua di approvazione. Ogni risultato diventa un bisogno, non un traguardo. Il tuo valore sembra misurarsi solo in base a quanto produci, a quanti complimenti ricevi, a quanto ti considerano “affidabile”. Ma sotto questa fame di riconoscimento si nasconde spesso una grande insicurezza. Magari non riesci mai a rilassarti perché senti che devi costantemente dimostrare di essere utile, efficiente, indispensabile. Il problema è che più insegui questa conferma, più ti allontani da te stesso e da quello che ti farebbe davvero bene.
Ci sono momenti in cui ami il tuo lavoro e vuoi dare il massimo. Ma un conto è essere motivato, un altro è non riuscire a fermarti nemmeno quando sei esausto. Quando il lavoro diventa una gabbia, anche se dorata, smette di essere una scelta. Non sei più tu a guidare il ritmo, ma è lui che guida te. La iperproduttività cronica prende il controllo e tu finisci per sacrificare tutto: tempo libero, relazioni, benessere. E il peggio è che spesso non te ne accorgi nemmeno, perché sei convinto che sia normale.
Quando spingi troppo, il tuo corpo inizia a mandarti segnali chiari. Non si tratta solo di stanchezza: la fatica mentale si trasforma in sintomi che a volte tendi a ignorare. Mal di testa frequenti, tensione alle spalle, difficoltà a dormire, stomaco chiuso o sempre in subbuglio. Oppure ti accorgi che fai fatica a concentrarti, che ti dimentichi le cose, che reagisci con nervosismo anche a piccoli imprevisti. È come se fossi sempre in allerta. Il corpo non regge il peso emotivo che il cervello cerca di tenere nascosto, e alla fine parla lui, anche quando tu fai finta di non sentire.
Quello che ti stanca non è solo la mole di lavoro, ma la sensazione continua di non essere mai all’altezza. Anche se hai dato tutto, anche se hai chiuso mille task, dentro resta quella voce che dice: “potevi fare di più”. È estenuante. Non hai mai la percezione di aver finito, di poterti rilassare davvero. E questa è una trappola: più ti impegni, più ti senti in difetto, e così ricominci da capo. La mente non si spegne mai, nemmeno la sera, nemmeno nel weekend. Sei sempre in corsa, anche quando non serve. E questa corsa non porta da nessuna parte, se non allo sfinimento.
Un tempo bastavano due giorni di pausa per recuperare. Ora, arrivi al lunedì più stanco di prima. Non riesci più a ricaricare le batterie, perché il tuo sistema è sempre in modalità “on”. Anche quando ti sdrai, la testa corre. Anche quando esci, pensi a cosa devi fare. Se anche il tempo libero diventa fonte di stress, vuol dire che il tuo corpo ti sta chiedendo qualcosa di semplice, ma urgente: fermati. Non per qualche ora. Non per distrarti. Fermati per ascoltarti.
Viviamo in una cultura che premia chi è sempre attivo. Chi resta fino a tardi, chi risponde alle mail anche la sera, chi non si ferma mai. Il problema è che questo stile di vita viene spacciato per forza di volontà, quando in realtà spesso è solo una forma di autosoppressione. Se ti senti in colpa quando ti prendi una pausa, se ti sembra di perdere tempo quando non stai producendo qualcosa, forse sei intrappolato in una dinamica che non ti fa bene. La dipendenza da lavoro esiste, ma nessuno ne parla davvero. Perché è una dipendenza “accettata”, persino apprezzata. Ma resta una dipendenza.
Rendersi conto che si è finiti dentro a un meccanismo del genere non è facile. A volte ti senti debole solo a pensarci. Magari ti dici che non è un problema, che puoi smettere quando vuoi. Ma dentro di te sai che non è così. Ogni volta che provi a rallentare, sale l’ansia. Hai paura di deludere qualcuno, di perdere credibilità, di valere meno. Ma nessuno dovrebbe sentirsi sbagliato per aver bisogno di respirare e stare meglio. Chiedere supporto non significa fallire, ma prendersi sul serio. Anche solo parlarne con qualcuno, rompere il silenzio, è già un passo fuori dal tunnel.
Può sembrare una banalità, ma prendersi una pausa è un atto di coraggio. Il vero fallimento non è fermarsi, è continuare ad andare avanti ignorando il malessere. Il lavoro non dovrebbe mai toglierti la serenità, il sonno o l’autostima. Eppure succede, spesso. Se inizi a guardarti con onestà, capisci che non sei pigro, né sbagliato: sei solo stanco di correre per dimostrare qualcosa. Fermarsi, anche solo un momento, ti aiuta a ricordare chi sei, oltre quello che fai.
Non serve arrivare allo stremo per concederti una pausa. Dire “basta per oggi” non ti rende meno capace, ti rende semplicemente umano. Se ogni giorno spingi oltre i tuoi limiti, prima o poi il corpo ti presenta il conto. Iniziare a mettere dei confini chiari è il primo passo per cambiare. Finire il lavoro all’orario previsto, chiudere il pc la sera, non controllare le mail nel weekend: piccoli gesti che fanno una differenza enorme. Non è egoismo, è cura. E anche se all’inizio ti sembrerà strano, pian piano sentirai che qualcosa dentro si rilassa.
Quando sei dentro alla dipendenza da lavoro, spesso perdi completamente il contatto con il tuo corpo. Vai in modalità automatica: fai, produci, risolvi, ma non ti ascolti più. E invece il corpo è il primo alleato. Ritagliarti del tempo per muoverti, dormire meglio, mangiare con calma: tutto questo non è tempo perso, è un modo per riconnetterti a te stesso. Anche solo iniziare a respirare più profondamente quando senti l’ansia salire può aiutarti. Il corpo ha bisogno di presenza, non di prestazioni. E quando smetti di trattarlo come una macchina, inizia a sostenerti davvero.
Non devi sempre essere impeccabile. Non serve dimostrare ogni giorno che sei il più veloce, il più produttivo, il più disponibile. Essere abbastanza è già tanto, e lo sei anche quando non spunti tutte le voci della lista. Darti il permesso di essere imperfetto ti libera. Ti permette di respirare, di scegliere, di stare nel presente senza sentirti in difetto. La verità è che nessuno regge per sempre un ritmo disumano. E non devi aspettare il crollo per capire che puoi vivere diversamente. Puoi iniziare oggi, con una sola scelta: trattarti con più gentilezza.
Non sei solo. Anche se a volte sembra che tutti riescano a gestire tutto senza mai fermarsi, la verità è che molti stanno solo reggendo la facciata. Fermarsi non è un segno di debolezza, è un atto di forza. Serve coraggio per dire: “così non mi fa bene”, per mettere un limite, per scegliere di ascoltarti.
La dipendenza da lavoro non passa da sola. Ma può iniziare a sciogliersi nel momento in cui smetti di misurarti in base a quanto fai e inizi a chiederti come stai davvero.
Hai il diritto di vivere bene anche senza essere sempre al top. Hai il diritto di staccare, di non rispondere, di respirare. Hai il diritto di non sentirti in colpa per prenderti cura di te.
Non devi per forza rallentare tutto, ma puoi rallentare dentro. E in quel respiro più lento, iniziare finalmente a sentirti abbastanza.
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