Pubblicato il 5 apr 2025 • 5 minuti di lettura
Il cambiamento organizzativo può scombussolarti all’improvviso, anche se all’apparenza sembra solo una questione di nuove regole o di qualche collega in più. In realtà, ogni volta che qualcosa si modifica nel lavoro, succede qualcosa anche dentro di te. Ti ritrovi magari a fare i conti con nuove abitudini, nuovi ritmi, nuove aspettative. E non sempre ti senti pronto. Non sempre hai voglia di stare al passo. Ed è normale. Non sei tu il problema.
Quello che cambia là fuori, spesso tocca anche ciò che pensavi fosse stabile dentro. Può arrivare l’ansia di non essere all’altezza, la paura di sbagliare o anche solo un senso di disorientamento che non sai spiegarti bene. Eppure, la verità è che cambiare non è sinonimo di fallire: cambiare è vivere. E tu puoi farlo in modo più sereno, se ti dai il permesso di ascoltare quello che provi e trovare gli strumenti giusti per affrontarlo.
Non devi affrontare tutto da solo, non devi avere tutto sotto controllo. A volte basta un piccolo passo per ritrovare l’equilibrio. E se ti fermi un attimo a respirare, ti accorgi che anche nel mezzo del caos, puoi sentirti stabile.
Quando arriva un cambiamento, il primo impatto è spesso emotivo. Ti senti spiazzato, agitato, magari anche frustrato, e tutto questo è più che normale. Il problema è che a volte non riusciamo nemmeno a capire cosa ci sta succedendo davvero. Dare un nome alle emozioni – paura, rabbia, confusione – è il primo passo per non farsi travolgere. Capire che non sei “strano” o “negativo” solo perché stai male è fondamentale. Il tuo cervello sta cercando di proteggerti, sta cercando equilibrio. E per farlo ha bisogno che tu riconosca quello che provi, senza giudicarti.
Quando tutto intorno a te si muove, è facile pensare di non essere abbastanza. In realtà, non sei tu che sei inadeguato: è il tuo ambiente che si sta trasformando. Sentirsi fuori posto è una reazione umana. Non vuol dire che hai fallito, vuol dire solo che hai bisogno di un attimo per adattarti. E quel tempo ti è concesso. Non devi dimostrare nulla a nessuno. Non c’è un modo giusto per affrontare il cambiamento organizzativo, c’è solo il tuo modo, ed è legittimo.
Spesso cerchiamo di resistere a tutti i costi, di andare avanti come se niente fosse. Ma non ascoltare il disagio non lo fa sparire, anzi. Lo rende più pesante. Invece, se lo accetti, smette di essere un nemico e diventa un segnale. Ti dice che hai bisogno di qualcosa: di tempo, di spazio, di comprensione. E solo partendo da lì puoi cominciare a stare meglio. Accettare non vuol dire arrendersi. Vuol dire iniziare a volersi bene.
Quando tutto cambia velocemente, avere dei punti fermi può aiutarti a sentirti più stabile. Non servono stravolgimenti: anche solo una routine mattutina, una pausa sempre alla stessa ora o il tuo modo di organizzare la scrivania possono darti quella sensazione di controllo che spesso sembra sfuggire. Questi gesti semplici ti ricordano che c’è ancora qualcosa che dipende da te. La resilienza al cambiamento si costruisce proprio così, partendo dalle piccole cose che ti fanno stare bene ogni giorno.
Adattarsi non vuol dire annullarsi. Spesso si pensa che “resiliente” sia chi accetta tutto in silenzio, ma non è così. Essere resilienti vuol dire trovare un equilibrio tra quello che cambia fuori e quello che resta dentro di te. Se qualcosa non ti convince o ti crea disagio, hai tutto il diritto di dirlo. Ma puoi anche cercare di capire se esiste un modo diverso per affrontarlo. Flessibilità non è rassegnazione, è consapevolezza. Significa scegliere come reagire, e non subire passivamente.
Quando le cose si muovono in fretta, rischi di dimenticare come stai davvero. Fermarti ogni tanto per ascoltarti è un modo per prenderti cura di te. Chiederti “di cosa ho bisogno oggi?” o “cosa posso fare per stare meglio?” non è egoismo, è cura. Più sei presente a te stesso, più riesci a rispondere alle sfide in modo lucido. Allenare la resilienza al cambiamento vuol dire anche imparare a volersi bene con gentilezza, ogni giorno un po’ di più.
A volte ci convinciamo che dobbiamo essere forti, sempre. Ma reggere tutto da soli non è forza, è fatica. E questa fatica, prima o poi, presenta il conto. Chiedere aiuto non vuol dire che non ce la fai. Vuol dire che stai scegliendo di non farti male da solo. Se senti che qualcosa ti pesa, che il cambiamento ti crea un malessere profondo, parlarne può fare la differenza. Hai il diritto di dire “non sto bene”, senza vergogna.
Il supporto psicologico nel cambiamento non è qualcosa “per chi sta male sul serio”. È un’opportunità per chi vuole capire meglio cosa sta vivendo. Uno psicologo non ti dà risposte preconfezionate, ma ti aiuta a vedere le cose da un’altra prospettiva, a riconoscere i tuoi schemi, a costruire nuove risorse interiori. Non si tratta di debolezza, ma di crescita. E se hai accesso a questo tipo di supporto, sfruttalo. È uno spazio sicuro dove puoi essere te stesso senza filtri.
Non sempre serve un professionista per sentirsi meglio. A volte basta confidarti con una persona di fiducia, qualcuno che ti ascolti davvero. Dire ad alta voce quello che provi ti permette di dare un senso a ciò che senti. Ti aiuta a mettere ordine. A volte, mentre parli, le risposte arrivano da sole. E anche se non arrivano subito, ti sentirai comunque più leggero. Condividere non ti rende più fragile, ti rende più umano. E in un momento di cambiamento, sentirsi umani è già un grande sollievo.
Quando qualcosa cambia, è facile rimanere ancorati a come stavano le cose prima. Magari ti trovavi bene, ti sentivi al sicuro, avevi i tuoi riferimenti. E adesso sembra tutto strano. Lasciare andare non vuol dire dimenticare. Vuol dire tenere con te ciò che ti ha fatto crescere, anche se il contesto è diverso. Le tue competenze, le relazioni costruite, quello che ti ha motivato in passato: tutto questo è ancora tuo. Non devi rinunciare a chi eri, puoi portarlo con te e usarlo in modo nuovo.
Può succedere di sentirsi spenti, senza stimoli. Succede quando il cambiamento ti prende alla sprovvista o ti toglie certezze. Ma anche in quel vuoto apparente può nascere qualcosa di buono. Fermati e chiediti: “cosa mi incuriosisce oggi?”, anche se è una piccola cosa. Forse hai l’occasione di imparare qualcosa che non avevi mai considerato. O di riscoprire una parte di te che avevi lasciato da parte. La motivazione non arriva per forza da fuori. A volte, basta poco per riaccenderla da dentro.
Anche se il tuo ruolo è cambiato, anche se il contesto è diverso, puoi ancora trovare senso in ciò che fai. Cerca un filo che colleghi quello che fai ogni giorno a ciò in cui credi. Magari ti basta sapere che stai aiutando i colleghi. O che stai imparando qualcosa di utile per il futuro. Trovare motivazione non è una questione di fortuna, è un atto di consapevolezza. E anche in mezzo al cambiamento organizzativo, puoi scegliere di trovare un nuovo modo per sentirti parte di ciò che vivi.
Il cambiamento organizzativo non è mai solo una questione di procedure o strutture, è qualcosa che ti tocca nel profondo. Ti mette alla prova, ti fa mettere in discussione. Ma non sei solo. Quello che senti è valido, le tue emozioni contano. E puoi affrontare tutto questo con più serenità, se smetti di chiederti di essere perfetto e inizi a chiederti cosa ti serve davvero per stare meglio.
Ricorda che hai il diritto di prenderti del tempo, di ascoltarti, di cercare supporto se ne senti il bisogno. Resistere non vuol dire stringere i denti, ma scegliere di non perderti mentre tutto cambia. E se impari ad avere fiducia in te, scoprirai che puoi sentirti stabile anche in mezzo a una trasformazione. Non devi avere tutte le risposte. Basta iniziare da una sola domanda sincera: “di cosa ho bisogno, adesso?”.
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