Published on 24 Feb 2025 - 4 minutes read
Negli ultimi anni, lo stress lavorativo è diventato una delle sfide più grandi per aziende e lavoratori. Secondo l’ultimo State of the Global Workplace 2024 di Gallup, il 41% dei lavoratori nel mondo sperimenta stress elevato ogni giorno, con effetti devastanti sulla produttività e sul benessere generale. Questo non è solo un problema personale, ma un costo tangibile per le aziende: il disengagement e il burnout incidono sulla crescita economica globale per 8,9 trilioni di dollari, pari al 9% del PIL mondiale.
Se a livello globale questi numeri sono preoccupanti, in Italia il quadro non è migliore.
Ma quali sono gli impatti concreti dello stress sul lavoro?
E soprattutto, quali soluzioni possono adottare le aziende per trasformare il wellbeing in un vantaggio competitivo?
Lo stress e il disengagement non sono fenomeni isolati. Le loro conseguenze si riflettono sull’efficienza delle aziende, sull’assenteismo e sulla capacità di trattenere talenti.
Secondo Gallup, solo il 23% dei lavoratori globali si sente realmente coinvolto nel proprio lavoro. Il 15% è attivamente disimpegnato, una condizione che non solo riduce la produttività, ma porta a un aumento del turnover e a un clima aziendale tossico.
L’impatto economico è significativo.
Il basso engagement costa alle aziende miliardi di euro in perdita di efficienza e aumento del turnover. A livello globale, dicevamo, il disengagement pesa sull’economia per 8,9 trilioni di dollari, mentre in Europa il 13% dei dipendenti risulta attivamente disimpegnato. Il problema non riguarda solo la produttività: l’assenteismo è un altro sintomo evidente dello stress da lavoro, con un aumento costante negli ultimi anni.
In Italia, l’Osservatorio HR 2023 conferma che lo stress da lavoro correlato è tra le prime cause di assenze prolungate. Il burnout sta emergendo come un fattore critico per le aziende, incidendo sul benessere psicofisico dei lavoratori e aumentando il rischio di dimissioni. Secondo McKinsey, il 22% dei dipendenti è colpito da burnout, con un impatto diretto sulla stabilità occupazionale e sulla competitività aziendale.
Anche la percezione dei lavoratori cambia di conseguenza. Il 52% dei dipendenti a livello globale dichiara di essere attivamente alla ricerca di nuove opportunità.
In un mercato del lavoro sempre più fluido, il benessere aziendale diventa un fattore chiave per attrarre e trattenere talenti. Le aziende che trascurano questi aspetti rischiano di perdere non solo produttività, ma anche la possibilità di costruire un team stabile e motivato.
Ignorare il problema significa accettare perdite economiche, aumento dell’instabilità e un clima lavorativo che penalizza la crescita. I dati mostrano chiaramente che il benessere non è un elemento secondario, ma un investimento strategico con impatti misurabili sulle performance aziendali.
Le aziende che investono in attività volte al miglioramento della vita dei dipendenti registrano risultati concreti in termini di produttività, engagement e riduzione del turnover. I numeri dimostrano che le iniziative di wellbeing non sono un costo, ma una leva per migliorare la performance aziendale. Secondo Gallup, le organizzazioni con dipendenti coinvolti ottengono un +23% di profittabilità, una riduzione del turnover del 18% e un aumento della produttività del 18%.
Il benessere non è solo una questione di benefit, ma di gestione strategica delle risorse umane.
Il 70% della variabilità nell’engagement dipende direttamente dal management.
Manager capaci di creare un ambiente di lavoro positivo migliorano il coinvolgimento e la produttività del team, riducendo i livelli di stress e assenteismo. In un contesto in cui il burnout è in crescita e il turnover pesa sempre di più sui costi aziendali, il wellbeing diventa un asset determinante.
Investire in questa direzione significa ridurre il rischio di assenteismo e migliorare la percezione del brand. Una persona che si sente supportata dalla propria azienda ha un rapporto più solido con il posto di lavoro e con i clienti, generando un effetto positivo sull’intera organizzazione.
Ne risulta quindi che il corporate wellbeing non sia un’opzione, ma un fattore chiave per la crescita e la sostenibilità a lungo termine.
Le aziende italiane stanno progressivamente riconoscendo il valore del benessere aziendale come strumento strategico per migliorare la produttività e la retention. Il 63% delle imprese italiane investirà maggiormente nei benefit per i dipendenti (Benefits Trends Survey 2023 di WTW), segno che il wellbeing non è più percepito come un beneficio accessorio, ma come una necessità per mantenere la competitività.
I dati mostrano che le organizzazioni che adottano programmi strutturati ottengono benefici misurabili. Le aziende italiane che hanno implementato iniziative di wellbeing registrano un incremento dell’utile sul fatturato del +6,7%, contro il +3,7% di chi non lo fa. La riduzione dell’assenteismo, il miglioramento dell’engagement e l’aumento della produttività sono tra gli effetti più rilevanti.
Le esperienze di grandi realtà aziendali confermano questi trend.
Sky, attraverso i programmi dedicati alle sue persone, ha raggiunto un livello di engagement del 45%, con una crescita del 23% su base annua. MSD, nel settore farmaceutico, ha visto il 49% della popolazione aziendale attivamente coinvolta nei programmi di wellbeing. Autostrade per l’Italia ha registrato un incremento del +138% nel coinvolgimento grazie a un piano integrato che ha combinato attività fisiche, supporto nutrizionale e psicologico.
Questi esempi dimostrano che il benessere organizzativo, se strutturato con obiettivi chiari e strumenti efficaci, genera risultati concreti e duraturi. Non si tratta di semplici iniziative sporadiche, ma di una strategia integrata che incide direttamente sulle performance aziendali.
Integrare un programma di wellbeing richiede un approccio strutturato e orientato ai risultati.
La semplice offerta di benefit isolati non è sufficiente per ottenere un impatto significativo.
Le organizzazioni che ottengono i migliori risultati applicano strategie che coinvolgono l’intera struttura aziendale, dai manager ai dipendenti, attraverso un modello chiaro e misurabile.
L’implementazione di un piano di wellbeing efficace si basa su quattro elementi fondamentali:
Le aziende che comprendono quanto valore ci sia dietro un programma così strutturato, non solo migliorano la qualità della vita dei dipendenti, ma ottengono anche un vantaggio competitivo sul mercato.
I dati confermano che le organizzazioni che investono in wellbeing migliorano le proprie performance economiche, riducono il turnover e attraggono i migliori talenti.
L’impatto sulla produttività è evidente. Le aziende con persone coinvolte registrano un +18% di produttività, un +23% di profittabilità e una riduzione del turnover del 21% (Gallup 2024). La correlazione tra benessere e risultati aziendali è diretta: un ambiente di lavoro sano aumenta la motivazione, la retention e la qualità del lavoro.
Anche la percezione del brand migliora. Le aziende che offrono un ambiente positivo hanno una maggiore capacità di attrarre talenti, un fattore determinante in un mercato del lavoro sempre più competitivo. Il 52% dei lavoratori a livello globale è attivamente alla ricerca di nuove opportunità. In questo scenario, le imprese che integrano il wellbeing nella loro cultura organizzativa ottengono un vantaggio concreto rispetto ai competitor.
Le esperienze delle aziende che hanno adottato strategie di benessere confermano questi dati. La crescita dell’engagement registrata da realtà come Sky, MSD e Autostrade per l’Italia dimostra che il wellbeing non è un costo, ma un motore per la crescita. Un dipendente che si sente valorizzato e supportato lavora meglio, ha un rapporto più solido con l’azienda e contribuisce attivamente al successo collettivo.I numeri lo dimostrano, le aziende lo confermano: il wellbeing è una delle leve strategiche più efficaci per affrontare le sfide del mercato e costruire un’organizzazione solida e competitiva.
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