Pubblicato il 29 dic 2020 • 4 minuti di lettura
Cos'è il digiuno intermittente? In che consiste? Va bene per tutti? Queste sono le domande più frequenti che attestano un sempre più crescente interesse nei confronti di tale pratica.
Il digiuno intermittente è una strategia alimentare che fa riferimento a una serie di protocolli basati su periodi di digiuno di breve durata, alternati a fasi di alimentazione.
Non va assolutamente confuso con le forme di digiuno estreme consigliate dai fanatici delle “diete detox”.
Esistono tre tipologie di protocolli differenziati a seconda della durata della fase di digiuno e della finestra nutritiva:
Gli effetti del digiuno intermittente sull’organismo sono da tempo studiati, in particolare i benefici che questa strategia alimentare ha:
Il principale interesse della comunità scientifica verte però sull’effetto protettivo che il digiuno intermittente ha nei confronti di tutta una serie di “danni” legati all’invecchiamento, quindi sullo stretto legame con la longevità.
La longevità è il termine con cui in biologia si definisce “la capacità fisiologica di un organismo di sopravvivere oltre il limite ritenuto medio per la specie cui esso appartiene”.
Le ricerche sulla longevità sono svolte nell’ambito della biogerontologia, branca della biologia che si occupa di studiare i meccanismi naturali dell'invecchiamento, dagli invertebrati agli esseri umani.
I risultati degli studi condotti sulla longevità e l’eventuale possibilità di prolungare la durata della vita dell’essere umano fanno emergere due determinanti specifici: la predisposizione genetica all'invecchiamento e l'influenza dell’ambiente esterno.
Mentre nel primo caso sarebbero i geni propri di un organismo i principali responsabili della sua velocità di invecchiamento, nella seconda prospettiva a determinare le differenze individuali di longevità conterebbe di più lo stile di vita condotto (abitudini alimentari, malattie, inquinamento ambientale, stress, ecc.)
In particolare per ciò che concerne lo stile di vita, molti studi hanno evidenziato la prevalenza di due fattori fondamentali in grado di incrementare la durata della vita: l'attività fisica condotta e la riduzione delle calorie assunte giornalmente con la dieta (la restrizione calorica).
É stato dimostrato, attraverso sperimentazioni sugli animali, l’effetto benefico che l’attività fisica esercita in termini di salute e longevità: minor incidenza di malattie metaboliche, circolatorie, quindi parallelamente una maggior longevità nei soggetti che la praticano, rispetto a quelli più sedentari.
Risultati simili emergono dagli studi condotti dal gruppo di ricerca del professor Ettore Bergamini, docente all'Università di Pisa dove dirige il centro interdipartimentale di biologia e patologia dell'invecchiamento.
Hanno dimostrato il legame diretto esistente tra la restrizione delle calorie attraverso un regime ipocalorico e la maggiore longevità.
In particolare, i roditori sottoposti a dieta ristretta di oltre il 30% delle calorie normalmente assunte, risultavano significativamente più sani e più longevi di quelli che si nutrivano liberamente.
Come si spiega tutto ciò?
Le cellule sono incessantemente oggetto di attacco lesivo da parte dei radicali liberi (stress ossidativo) e, per difendersi, accelerano il loro naturale processo di divisione che le porta, inevitabilmente, ad invecchiare e a morire precocemente.
Il team del professor Bergamini ha spiegato che la relazione tra l’incremento della longevità e la restrizione calorica risulta collegata ad un fenomeno insito in tutte le cellule eucariote: l'autofagia cellulare.
Il termine “autofagia”, e per la precisione la macroautofagia, significa letteralmente “mangiare se stessi”: è un fenomeno di riciclo e di riparazione delle componenti della cellula (proteine, membrane ed organuli) che sono state danneggiate a causa dell’azione dei radicali liberi, chimicamente instabili ed altamente reattivi, prodotti in seguito a fenomeni infiammatori, stress, inquinamento eccetera.
La cellula per difendersi accelererà il suo ritmo di divisione, ma giungerà così più rapidamente alla condizione di senescenza e quindi alla morte prematura.
La macroautofagia risulta così un vero e proprio “meccanismo di salvataggio”: tutte le componenti danneggiate vengono isolate dal resto della cellula e inglobate in vescicole dette autofagosomi.
Queste vescicole vanno poi a fondersi con delle strutture specializzate, i lisosomi, i quali contengono enzimi digestivi che a contatto con gli autofagosomi vanno a demolire (digerire) tutto il materiale cellulare che ha subito un danno contenuto al loro interno.
In tal modo le cellule possono ad esempio degradare le proteine danneggiate e riciclare tutti i materiali utili come gli amminoacidi, a scopo energetico e ricostruttivo. Le cellule così riparate, possono rallentare il loro processo di riproduzione e vivere più a lungo.
La macroautofagia viene normalmente indotta negli animali in modo lieve durante le prime 24 ore di digiuno, prevalentemente negli organi interni (quali il fegato), ma viene soppressa totalmente nel periodo immediatamente successivo ai pasti.
L'alternarsi nel tempo di fasi di digiuno e di ottima nutrizione accelera così il ricambio e favorisce il rinnovo delle strutture cellulari. A questo occorrerebbe aggiungere una scelta ottimale degli alimenti che può ottimizzare il risultato della lotta contro l'invecchiamento.
Studi sperimentali mostrano che anche l'attività fisica moderata è in grado di indurre la macroautofagia nelle cellule muscolari scheletriche, mantenendole quindi sane ed efficienti.
Per quanto le evidenze scientifiche attestino tutta una serie di effetti positivi, è importante sottolineare che non tutti possono praticare il digiuno intermittente.
Questo regime alimentare, infatti, è assolutamente controindicato nei seguenti casi:
Nonostante i risultati finora ottenuti e la valenza di antichi precetti salutistici (restrizione calorica e attività fisica) sulla longevità, sono necessari ulteriori studi scientifici sia per poter validare l’utilizzo del digiuno intermittente a fini preventivi e terapeutici sull’uomo che, in particolare, per dimostrane l’efficacia nel lungo periodo, soprattutto sul processo di dimagrimento, rispetto all’applicazione di un classico regime ipocalorico bilanciato.
Risulta infine di fondamentale importanza evitare le pratiche nutrizionali “fai da te”, ma è necessario sempre il supporto di un professionista che possa accertare che questa tipologia di regime alimentare non comporti pericolose carenze nutrizionali.
Articolo a cura della Dott.ssa Ilaria Aquilea - Biologa Nutrizionista
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