Pubblicato il 7 mar 2025 • 5 minuti di lettura
Il linguaggio inclusivo non è solo una moda o una questione di forma. È qualcosa che riguarda tutti noi, ogni giorno. Le parole che scegliamo raccontano come vediamo gli altri, ma anche quanto siamo disposti a farli sentire accolti, rispettati, ascoltati. Quando parli con qualcuno, non stai solo comunicando un’informazione: stai trasmettendo un’idea del mondo, e anche del posto che quella persona occupa dentro di esso.
Spesso non ci pensiamo, perché alcune espressioni ci sembrano normali, ci vengono spontanee. Ma proprio lì si nasconde il problema. Se ci fermiamo un attimo a riflettere, capiamo che molti modi di dire che usiamo da sempre escludono, generalizzano o feriscono. E non è certo colpa nostra: nessuno ce lo ha insegnato. Ma adesso possiamo fare qualcosa.
Usare un linguaggio più inclusivo non vuol dire stravolgere il modo in cui parliamo. Vuol dire prestare attenzione. Significa chiederci se le parole che usiamo ogni giorno fanno sentire le persone a proprio agio oppure no. È un piccolo sforzo che ha un impatto enorme. Perché sì, le parole hanno un potere reale, e possiamo usarle per costruire spazi più equi, più umani, più veri. Anche – e soprattutto – quando siamo al lavoro.
Quando si parla di linguaggio inclusivo, non si parla solo di termini nuovi o di formule corrette. Si parla di persone, di come le vediamo e di come le facciamo sentire. Parlare in modo inclusivo significa scegliere parole che non escludono, che non semplificano, che non etichettano. È un modo per dire: “Ti rispetto, anche se sei diverso da me”. Spesso siamo abituati a usare espressioni che ci sembrano neutre, ma che in realtà lasciano fuori qualcuno. Iniziare a notarlo è già un passo enorme.
Non basta avere buone intenzioni, serve anche ascoltare l’effetto che le parole hanno sugli altri. Magari dici qualcosa senza voler offendere, ma chi ti ascolta si sente a disagio. Questo non vuol dire che dobbiamo camminare sulle uova, ma che possiamo essere più attenti. Ogni volta che scegli una parola diversa, stai contribuendo a creare un ambiente più sicuro e rispettoso. Il punto non è essere perfetti, ma essere presenti, essere aperti, essere disposti a migliorare.
Nessuno nasce sapendo tutto, e non serve imparare un nuovo vocabolario da zero. Serve solo mettere in discussione le abitudini. Magari puoi iniziare smettendo di usare il maschile come forma universale. O evitando battute che si basano su stereotipi. Più pratichi, più diventa naturale. E quando noti il cambiamento negli altri – quando qualcuno ti ringrazia per una parola detta con attenzione – capisci che ne è valsa la pena. Perché le parole non cambiano solo chi le riceve, ma anche chi le usa. E ogni giorno può essere l’occasione giusta per scegliere meglio.
La comunicazione inclusiva non riguarda solo i grandi discorsi o i messaggi ufficiali. Conta anche quando mandi una mail, quando rispondi in chat, quando saluti qualcuno appena arrivato. Ogni interazione è un’occasione per creare un ambiente più accogliente. Basta poco: dire “ciao a tutte e tutti”, usare un tono neutro, evitare espressioni che possono sembrare sminuenti. Quando inizi a farci caso, capisci che il modo in cui ti esprimi fa davvero la differenza.
Parlare in modo più inclusivo non è una forzatura, anzi. È un modo per far sentire chi ti sta davanti rispettato e considerato. Non si tratta solo di cosa dici, ma di come lo dici. Evitare battute su genere, età, orientamento o provenienza aiuta a costruire un clima più sano e sereno. E questo lo senti subito: nelle relazioni, nella fiducia, nella voglia di confrontarsi. Una parola detta bene può sciogliere un imbarazzo, può far sentire qualcuno più a suo agio. E può anche farti conoscere meglio chi hai accanto.
Quando inizi a usare un linguaggio più attento, gli altri se ne accorgono. Magari non te lo dicono subito, ma lo notano. E spesso iniziano a fare lo stesso. Questo effetto a catena è potentissimo: una parola cambia un dialogo, un dialogo cambia un gruppo, un gruppo cambia l’energia del posto in cui lavori. E quando le persone si sentono incluse, lavorano meglio, collaborano di più, stanno bene. Non serve aspettare il cambiamento: puoi essere tu a iniziarlo, con una frase alla volta.
Ogni volta che parli o scrivi, stai influenzando la tua percezione delle persone e delle situazioni. Se usi sempre parole che generalizzano o semplificano, finirai per pensare allo stesso modo. Al contrario, quando scegli termini più precisi e rispettosi, inizi a vedere davvero chi hai davanti. Le parole non sono mai neutre: plasmano la realtà in cui viviamo, modificano il modo in cui interpretiamo il mondo, e quindi anche come agiamo.
Hai mai fatto caso a come cambia il tono di una conversazione quando qualcuno si sente giudicato o escluso? Basta una parola sbagliata per rompere un equilibrio, per far sentire qualcuno fuori posto. Ma succede anche il contrario: una parola scelta con cura può avvicinare, può sciogliere un silenzio, può far sentire compreso chi ascolta. Le parole sono strumenti, e tu puoi usarle per costruire relazioni più autentiche e profonde. La chiave sta nella consapevolezza, nel fermarsi un attimo prima di parlare.
Usare un linguaggio più inclusivo non serve solo a evitare problemi. Serve a creare una cultura più aperta, più accogliente, più giusta. Quando smettiamo di usare espressioni che discriminano, anche inconsapevolmente, iniziamo a vedere davvero le differenze come un valore. E questo cambia tutto: la comunicazione, il modo di lavorare insieme, il senso di appartenenza. Le parole che scegli oggi fanno parte del cambiamento di domani. E non serve essere esperti: basta iniziare ad ascoltarsi e a correggersi quando serve. Con rispetto, curiosità e voglia di migliorare.
Parlare in modo inclusivo può sembrare complicato, ma in realtà sono i dettagli a fare la differenza. Usare il nome corretto di una persona, evitare di assumere il genere di qualcuno, o iniziare un’email con “ciao a tutte e tutti” sono gesti semplici ma potenti. Non stai solo scegliendo parole diverse, stai dimostrando rispetto. E questo si sente. Le persone se ne accorgono, anche se non lo dicono. Perché quando ti senti riconosciuto, ti senti anche più libero di essere te stesso.
Non è solo quello che dici a contare, ma anche quello che decidi di non dire più. Frasi fatte, battute che sembrano innocue, modi di dire legati a stereotipi: tutto questo ha un peso. Magari ti sembrano abitudini innocue, ma per chi le subisce ogni giorno possono diventare faticose. Evitare certi commenti, scegliere di non ridere a una battuta fuori posto, oppure correggere con gentilezza chi usa espressioni escludenti è un atto di cura. E anche se può sembrare una goccia nel mare, crea un effetto a catena.
Il bello dell’inclusività è che la puoi mettere in pratica ovunque: in riunione, al caffè, in una chat di gruppo. Non serve che il momento sia solenne. Basta essere presenti e attenti. A volte è sufficiente chiedere: “Come preferisci che ti chiami?” oppure “Questo modo di dire ti va bene?”. Dimostri di voler capire, di non dare nulla per scontato. Questo tipo di apertura genera fiducia. E la fiducia, alla fine, è la base di un ambiente in cui tutti stanno meglio. Anche tu.
Usare un linguaggio inclusivo non è una regola da seguire a memoria, ma una scelta di rispetto quotidiano. Ogni volta che decidi di fare attenzione a come parli, stai dicendo agli altri: “Tu qui conti, io ti vedo”. E questo ha un valore enorme. Non serve essere perfetti o sapere sempre tutto, basta essere aperti e curiosi. Le parole non sono mai solo parole, ma strumenti per creare connessioni, abbattere barriere, far sentire le persone al sicuro.
Quando cambi il tuo modo di comunicare, non cambi solo te stesso, ma anche il clima attorno a te. E questa energia si sente, si diffonde, ispira. Basta poco per iniziare: una frase detta con più attenzione, un silenzio riempito di ascolto, una correzione fatta con gentilezza. Le parole che scegli ogni giorno raccontano chi vuoi essere. Sceglile bene, e scegli di includere.
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