Pubblicato il 29 feb 2024 • 4 minuti di lettura
Il lavoro può influenzare il benessere psicologico delle persone? Per ‘salute mentale’ si intende uno stato di benessere caratterizzato da sensazioni generalmente positive, derivanti dalla capacità di stringere relazioni gratificanti e di affrontare le situazioni con serenità. Le problematiche correlate alla salute mentale sono comuni, e possono verificarsi in concomitanza con periodi di stress molto elevato o dopo eventi traumatici.
La salute mentale sul luogo di lavoro è fondamentale, in quanto garantisce una partecipazione positiva della persona all’interno di un gruppo. Al contrario, gli stati di stress lavorativo, influiscono sulla salute mentale dell’individuo e lo portano ad abbassare le sue capacità relazionali e le prestazioni professionali, fino ad arrivare al vero e proprio burnout.
Cosa porta a sviluppare lo stress lavorativo? Le situazioni che portano a sviluppare questo tipo di disagio mentale sono legate, il più delle volte, a una sproporzione tra ciò che il lavoro richiede e ciò che invece il lavoratore è in grado di affrontare e controllare. Altri fattori di rischio possono essere rappresentati da cattive relazioni con colleghi e superiori, ma anche dalla presenza di rumori continui o di temperature non idonee. Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), circa il 50% della popolazione incontra un disturbo mentale durante la propria vita, in buona parte causato da episodi di stress lavorativo, mobbing e burnout. Per questo l’OMS ha raccomandato a dirigenti e aziende di adottare misure concrete per affrontare i rischi per la salute mentale all’interno della popolazione attiva.
Attualmente il burnout non figura nel DSM, Tuttavia l’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce ufficialmente il burnout come una sindrome, inserendola nell’International Classification o Diseases, e più precisamente nel capitolo Icd-11 che riguarda i ‘fattori che influenzano lo stato di salute’. Pur essendo previsto l’intervento dei servizi sanitari non è comunque classificato come malattia o condizione medica; piuttosto viene definito un ‘fenomeno occupazionale’ che può seriamente minacciare il benessere dei lavoratori e compromettere la salute fisica e mentale.
Nel dettaglio l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce il burnout una sindrome concettualizzata come conseguenza di stress sul posto di lavoro non gestito con successo. Si tratta di una sindrome caratterizzata essenzialmente da tre dimensioni:
Si sviluppa all’interno di contesti lavorativi; ciò significa che il termine non dovrebbe essere utilizzato per la descrizione di esperienze che riguardano altri ambiti di vita, anche se spesso i sintomi sono comuni anche ad altre forme di stress. Nell’ambito della diagnosi l’esperto deve quindi escludere la possibilità che i sintomi si riferiscano ad altre problematiche come ad esempio la depressione e l’ansia.
La sindrome di burnout raramente si palesa in maniera improvvisa; al contrario si sviluppa gradualmente attraverso un processo subdolo che inizialmente è difficile da identificare. I primi campanelli di allarme vengono spesso considerati come fisiologiche conseguenze di un periodo di stress lavorativo.
Sintomi come l’insonnia, il mal di stomaco e il mal di testa vengono considerati ‘normali’ in relazione ai ritmi sostenuti. Il processo di sviluppo della sindrome parte da una fase di grande impegno da parte del lavoratore, il cui unico obiettivo è svolgere con diligenza le proprie mansioni mantenendo alto il proprio rendimento. Si arriva quindi a condizioni di sfinimento sia fisico che psichico determinate dal grosso carico di lavoro. La sindrome di burnout causa sintomi che colpiscono l’individuo sia a livello fisico che psico-emotivo e comportamentale.
SINTOMI FISICI
Partiamo dall’elenco dei sintomi fisici, tra i quali i più comuni sono: mal di testa, stanchezza, insonnia, difficoltà digestive, nausea, inappetenza, senso di soffocamento, tensioni muscolari, tremori, vertigini, tachicardia.
SINTOMI EMOTIVI E COGNITIVI
Per quanto riguarda invece i sintomi legati alla sfera emotiva e cognitiva, il lavoratore si sente pervaso da un forte esaurimento; si sente totalmente annullato dal proprio lavoro. La condizione determina: difficoltà di concentrazione, demotivazione, agitazione, infelicità, rabbia e risentimento, sensi di colpa, nervosismo, indecisione, pianti frequenti, bassa autostima, preoccupazione costante, avversione verso le relazioni sociali, delusione.
I segnali, inequivocabili, che si manifestano durante lo svolgimento della professione, e che quindi si ripercuotono negativamente sull’efficacia professionale sono diversi. Il sintomo che in maniera più palese indica la presenza della sindrome è il distacco mentale dai propri compiti. Ci si orienta verso una sorta di isolamento che tiene lontane sia l’attività professionale in senso stretto, che le persone. L’intolleranza e l’insofferenza verso colleghi e clienti, genera atteggiamenti di conflittualità e comportamenti negativi. Sensazioni di inadeguatezza e bassa autostima determinano la convinzione di aver fallito. Il lavoratore si convince di essere inefficiente e inevitabilmente cala la produttività professionale.
Se in condizioni normali il burnout è in genere legato alla percezione di uno squilibrio tra le richieste - esigenze professionali e le risorse disponibili, per quanto riguarda il burnout da smartworking ci sono due fattori:
▪ l’incapacità o impossibilità di disconnettersi dal lavoro;
▪ l’incapacità o impossibilità di avere orari precisi di attività lavorativa, come in ufficio.
In altre parole, l’impossibilità di “staccare” preservando i propri spazi extra-lavorativi. Come una lampadina che non si spegne mai o quasi si può fulminare, allo stesso modo anche il lavoratore alla lunga può andare incontro a una sorta di esaurimento, dovuto a un investimento di energie e risorse troppo elevato. Secondo alcune recenti ricerche, in media la giornata lavorativa in smartworking dura da 1 a 3 ore in più; si fanno più riunioni (ovviamente in modalità virtuale), si è reperibili anche al di fuori dall’orario di lavoro, rispondendo al telefono o anche ‘solo’ mandando mail.
Poiché la salute mentale in azienda assume un ruolo così importante, occorre investire per preservarla e per supportare i lavoratori a mantenere alto il proprio tenore di benessere psicologico. Alcune aziende hanno introdotto, nell’ambito dei propri piani di welfare, programmi di supporto dedicati ai dipendenti, riscontrando non solo un miglior benessere personale, ma anche notevoli vantaggi sul piano del benessere organizzativo.
La cura della salute mentale sul luogo di lavoro si rivela strategica anche per ridurre i livelli di turnover e quindi alzare la produttività.
L’attenzione dell’azienda al benessere psicologico è un tema molto importante, la possibilità di trovare un equilibrio tra la vita privata e quella professionale è uno dei fattori che pesa maggiormente.
L'aiuto di una figura come quella dello psicoterapeuta può aiutarti a:
In conclusione, la salute mentale è un tema molto importante da non sottovalutare. Se ti sei rispecchiato nelle emozioni e i sintomi che possono sopraggiungere nell’ambito lavorativo, non esitare a chiedere aiuto.
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