Published on 5 Jan 2024 - 5 minutes read
Gennaio è un mese da molti visto come un periodo di ripartenze, di settaggio di nuovi goal per la propria vita privata e lavorativa.
A pensarci bene è un mese come tutti gli altri, ma il fatto che inizi un nuovo anno dà l’idea che sia giunto il momento di cambiare e migliorarsi: è per questo che si è soliti stilare una lista dei buoni propositi, traguardi da raggiungere entro la sua fine.
Può essere utile prendersi un momento per rivedere le scelte e le azioni del passato e impostare al meglio il proprio futuro.
Ci sono però da sottolineare alcune questioni. In primis non per tutti il periodo delle feste è un momento di riposo. Per molti è frenetico e stressante e a gennaio si potrebbe non avere abbastanza energie per pianificare i mesi a venire.
Cambiare è difficile. Anche se porta a un miglioramento, vuol dire affrontare qualcosa che non si conosce e di ciò che non si conosce si ha timore.
Inoltre per cambiare serve prima di tutto conoscersi profondamente. Per comprendere cosa davvero si desidera per sé stessi, lasciando da parte pressioni esterne o introiettate. Un cambiamento autentico richiede motivazione la quale, a sua volta, presuppone consapevolezza, quindi la capacità di comprendere la condizione in cui si è. La motivazione, invece, è la volontà di agire nel concreto.
Anche con le migliori intenzioni non è scontato riuscire a modificare i propri comportamenti. È un fenomeno affrontato in letteratura e chiamato intention- behavior gap. Secondo alcuni studi l’intenzione è responsabile di un cambiamento comportamentale solo per una percentuale che va dal 30 al 40%.
Il nostro cervello funziona in modo da ottimizzare le energie e un buon modo per farlo è seguire delle abitudini. Basti pensare che oltre il 40% delle azioni che compiamo ogni giorno non sono frutto di decisioni deliberate, ma di abitudini.
Risposte automatiche a degli stimoli, che ci permettono di non fermarci a pensare e ponderare il da farsi.
Cambiare un’abitudine è dispendioso di energie: significa fare una scelta diversa da quella automatica che abbiamo sempre messo in atto e ripeterla nel tempo abbastanza a lungo perché essa stessa diventi un’abitudine.
Modificare il proprio comportamento una volta non è difficile, ma perseverare nel tempo è ovviamente molto più complicato. Il risultato che si vuole ottenere è lontano nel tempo, mentre bisogna impegnarsi giorno per giorno.
Secondo James O. Prochaska - professore di psicologia all'Università del Rhode Island - e i suoi collaboratori, il cambiamento è un ciclo che viene percorso varie volte prima di poter arrivare a una conclusione positiva.
Solo il 5% delle persone impegnate nell’eliminazione di un comportamento disfunzionale ci riesce al primo tentativo. Tutte le altre percorrono la ruota del cambiamento in media almeno 3-4 volte.
Il cambiamento si compone di diverse fasi:
1. Pre-contemplazione
È la fase in cui non abbiamo ancora iniziato ad avvertire la necessità di un cambiamento. Non siamo consapevoli del nostro bisogno e del problema. Spesso questo bisogno viene innescato da un evento particolare o da un'esperienza molto forte che lo porta alla luce.
2. Contemplazione
In questa fase abbiamo compreso che necessitiamo di un cambiamento, consapevoli che questo potrebbe essere positivo per noi, anche se ancora non abbiamo la certezza di riuscirvi. In questa fase è importante considerare tutti gli elementi che ci motivano veramente a cambiare.
3. Preparazione
Questa fase è quella in cui iniziamo a preparare il cambiamento. Può richiedere anche un certo periodo di tempo e comportare momenti diversi. Qui si può regredire o procedere verso gli stadi ulteriori. In questa fase identifichiamo quali sono gli aspetti specifici della nostra vita o della situazione che stiamo vivendo che vogliamo modificare.
4. Azione
In questa fase iniziamo a sostituire un modo di pensare o un’abitudine con un nuovo comportamento, attuando il cambiamento. Le prime fasi rappresentano le più difficili perché sono necessarie alcune settimane affinché il nuovo comportamento si stabilizzi. In questo periodo le vecchie abitudini tentano di prendere nuovamente il sopravvento. Possono esserci inoltre tentativi di sabotaggio dei nostri propositi, sia da parte di noi stessi, sia delle persone che abbiamo intorno.
5. Mantenimento
Il mantenimento consiste nella prosecuzione della fase di azione. In questo momento del ciclo del cambiamento mantenere i nuovi comportamenti inizia a essere più facile perché le vecchie abitudini smettono di riproporsi con forza. Tuttavia, dopo aver ottenuto i primi risultati, il rischio è quello di adagiarsi e quindi di lasciarci tentare dal ritorno a una vita priva di consapevolezza.
6. Ricaduta
In ciascuna delle fasi del ciclo del cambiamento c'è la possibilità di compiere errori e ricadere nelle abitudini nocive del passato.
Anche questo fa parte del ciclo del cambiamento. Le ricadute sono parte integrante del processo di cambiamento, non bisogna biasimarsi per questo ma viverle come un'occasione di apprendimento e andare avanti. In questo modo non perderemo determinazione e sicurezza. L'importante è non lasciare che una piccola sconfitta temporanea ci induca ad abbandonare.
7. Conclusione
In questo stadio il cambiamento è ormai avvenuto. Agiamo e pensiamo in modo nuovo, abbiamo riconosciuto e sostituito i comportamenti nocivi messi in atto nel passato.
I buoni propositi sono del tutto personali e il percorso da seguire è diverso per ognuno, ma ci sono dei consigli che possono aiutare:
È molto comune riproporsi ogni volta gli stessi obiettivi anche se in passato non si è riusciti a raggiungerli.
Questo potrebbe dipendere dal fatto che già il tentativo in sé è gratificante. All’inizio di ogni percorso è facile provare una sensazione di ottimismo e avere aspettative non realistiche sulle difficoltà che si incontreranno e il tempo che si impiegherà. Questo può portare a fissare obiettivi fuori dalla propria portata e rimanere delusi nel constatare che non è possibile raggiungerli o perlomeno non velocemente come si era immaginato.
Secondo lo psicoterapeuta e psichiatra statunitense Alexander Lowen:
“Molta infelicità è legata al mancato raggiungimento di obiettivi impossibili: e se la felicità fosse ridefinire la logica degli obiettivi? Molte persone si pongono obiettivi irrealizzabili e vivono in un costante stato di disperazione del tentativo di realizzarli”
È probabile inoltre che lo sconforto e la disillusione portino a un senso di fallimento e all’abbandono del buon proposito.
Abbandono che può avere però ricadute emotive importanti e incidere sul proprio senso di autoefficacia, quando invece si sarebbe potuto ipotizzare un traguardo più in linea con le proprie capacità, che una volta raggiunto avrebbe portato a un aumento della confidenza in se stessi e una maggiore motivazione nel proseguire e alzare gradualmente l’asticella, fino magari a raggiungere un traguardo che inizialmente si credeva impossibile.
In questo modo sarà più facile apprezzare anche i piccoli cambiamenti e restare motivati nel proseguire. Vuol dire aggirare in qualche modo la resistenza al cambiamento. Invece di focalizzarsi solamente su un traguardo lontano nel tempo, che rischia di sembrare troppo difficile da raggiungere, è bene immaginare delle tappe intermedie che possano renderci soddisfatti di noi stessi.
Quando si immagina di cambiare è facile pensare solo al risultato finale senza concentrarsi su quanto possa essere utile il percorso che ci porta a raggiungerlo.
Non bisogna vedere il mancato raggiungimento dei traguardi ipotizzati come un fallimento. Il cambiamento non è un fenomeno del tipo "tutto o niente" ma un processo graduale che attraversa specifici stadi, seguendo un percorso ciclico e progressivo. Sbagliare, impiegare più tempo di quanto preventivato o anche mettere un progetto in pausa non significa che il percorso fatto fino a quel momento non conti niente. In qualche modo si sarà diversi da quando si è iniziato.
Voler fare tutto alla perfezione rischia di paralizzare. Quando si inizia qualcosa di nuovo è inevitabile compiere errori, se non si accetta questa verità si rischia di procrastinare per paura di sbagliare. Anche nel momento in cui si decidesse di mettersi in gioco ogni errore rischierebbe poi di essere accompagnato da stress e ostilità verso se stessi, togliendo energie, spirito di iniziativa e motivazione, oltre che serenità.
Come in ogni cosa serve quindi trovare equilibrio.
È utile avere sogni e porsi sfide, ma bisogna vedere un eventuale fallimento come un modo per imparare e conoscersi meglio: capire quali sono le proprie difficoltà e trovare gli strumenti per superarle. È importante sottolineare come in ogni caso il vero processo di cambiamento ha inizio quando decidiamo di essere degni di amore e rispetto al di là dei nostri risultati.
Fallire può anche aiutare a capire che quella intrapresa non è la strada giusta, non vuol dire aver perso tempo, ma, anzi, prendersi tempo per costruire una vita che risponda davvero ai nostri bisogni e desideri.
Gennaio è il mese dei buoni propositi per convenzione, ma niente ci vieta di riproporne di nuovi durante l’anno, perché cambiare fa paura, ma è più auspicabile del restare fermi o proseguire su una strada che non fa per noi o che, semplicemente, non ci fa bene.
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