Pubblicato il 29 ago 2022 • 4 minuti di lettura
L’importanza del welfare aziendale sta aumentando sempre di più grazie ai molti vantaggi che offre, sia per le aziende che per i lavoratori. Dunque implementare i piani di welfare significa migliorare costantemente il benessere dei lavoratori e l’equilibrio tra la loro vita professionale e personale. In tale ambito le normative includono sia agevolazioni fiscali, che possono incentivare l’utilizzo di benefit welfare, sia la possibilità, in alcuni casi, di welfare obbligatorio.
Infatti con il rinnovo di alcuni contratti collettivi si è introdotto l’obbligo di piani welfare che seguono alcune indicazioni specifiche.
Chi rientra nelle aziende con il welfare aziendale obbligatorio dovrà seguire tutte le indicazioni inserite nel contratto. Per ogni CCNL le indicazioni sono differenti, ma in linea di massima è previsto l’obbligo di versare ai lavoratori dai 100 ai 200 euro annuali in servizi welfare. Ad esempio: dal 2022 nel settore metalmeccanico l’obbligo è salito a 200 euro, mentre in quello turistico di 140 euro in caso di mancanza di accordi sostitutivi tra le parti.
I CCNL che includono oggi un obbligo di inserimento di welfare aziendale sono i seguenti:
Anche nel caso in cui il welfare è obbligatorio e regolamentato, le aziende devono stilare piani di welfare, che sono anche necessari per poter accedere alla deducibilità delle spese aziendali in questo campo.
Si tratta del cosiddetto regolamento aziendale che può esprimersi in diversi modi.
Se è sottinteso un obbligo negoziale, si parla di regolamento aziendale unilaterale: ha rilevanza per tutti i lavoratori o dipendenti e si basa sulle decisioni del datore di lavoro, il quale deve seguire le normative nazionali. In questo caso l’azienda ha la possibilità di approfittare della deducibilità solo nel limite del 5 per mille del costo del lavoro.
Se invece c’è un accordo di II livello o territoriale, allora si parla di regolamento aziendale bilaterale, in cui vengono coinvolti i lavoratori. In questo caso le aziende possono sfruttare al massimo l’agevolazione fiscale: la normativa prevede una deroga del limite del 5 per mille, permettendo di dedurre la somma completa dal reddito aziendale ai fini IRES.
Il welfare non obbligatorio rimane una realtà per tutti quei settori in cui il CCNL non è stato riformato in tal senso. In molti casi, però, esistono tutte le condizioni e i presupposti per decidere di inserire piani welfare. Così i lavoratori possono approfittare dei benefit, e le aziende migliorare il clima aziendale e usufruire di agevolazioni fiscali, come vedremo più avanti.
Ogni piano welfare, stilato da aziende che non sono obbligate a farlo, porta la deduzione fiscale solo entro il limite del 5 per mille del costo del lavoro, ma rimane l’esenzione sotto il punto di vista contributivo e previdenziale.
Anche di fronte al welfare non obbligatorio, sempre più aziende decidono di inserirlo per migliorare la propria reputazione e l’employer branding.
Il lavoratore potrebbe non riscontrare alcun lato negativo in un piano di welfare aziendale. In realtà sotto alcuni punti di vista, il welfare aziendale potrebbe non essere la soluzione migliore per qualsiasi lavoratore.
Infatti per valutare gli svantaggi del welfare aziendale, va considerato che in alcuni casi i dipendenti potrebbero preferire di ricevere un premio in denaro, piuttosto che beni e servizi o buoni spendibili con limitazioni. Questa modalità, però, viene generalmente scartata, perché impedisce sia alle aziende che ai lavoratori di risparmiare sotto il punto di vista fiscale e contributivo.
A volte l’aspetto contributivo spinge alcuni lavoratori a non supportare la politica del welfare. Le agevolazioni fiscali penalizzano i lavoratori, perché le aziende non versano contributi sul valore del welfare. Questo porta quindi a rinunciare alla possibilità di avere una pensione più cospicua.
Se è vero che da una parte vengono tralasciati alcuni contributi, dall’altra ricordiamo che il valore del bene o del servizio di welfare non tassato può portare grandi vantaggi quotidiani durante gli anni di lavoro.
Ecco perché abbiamo deciso di riassumere i pro ed i contro del welfare aziendale.
Che sia obbligatorio o meno, ogni azienda può valutare i pro ed i contro del welfare aziendale.
Sono moltissimi i fattori da tenere in considerazione: di seguito abbiamo preparato un riassunto degli aspetti fondamentali, al fine di aiutare le aziende nella comprensione del sistema.
Innanzitutto ricordiamo che grazie al welfare si può contribuire a migliorare il work-life balance, offrendo dei benefici che semplificano la vita dei lavoratori sotto molti punti di vista. Benefit semplici come un computer, uno smartphone o un’auto aziendale, a uso individuale o promiscuo, possono essere fondamentali per sgravare il lavoratore da alcune responsabilità e difficoltà di semplice risoluzione.
Basta supportare economicamente alcuni ambiti della vita del lavoratore, come l’istruzione e l’assistenza sanitaria, per offrirgli un benessere generale. In tal modo aumenta la soddisfazione e la fidelizzazione del lavoratore nei confronti dell’azienda. Inoltre si può registrare un miglioramento della produttività e della redditività sul lavoro, elementi che rientrano tra gli interessi aziendali.
Non manca il supporto delle istituzioni con delle agevolazioni fiscali che permettono all’azienda di dedurre le spese di welfare e quindi calcolare le imposte IRES e IRAP su un reddito minore.
Il welfare aziendale è anche un valido strumento per attirare talenti di valore che siano incentivati a non cambiare posto di lavoro. In questo modo possono diminuire le perdite ed i costi relativi dovuti a dannosi turnover ed ai fenomeni di assenteismo.
Per valutare gli svantaggi del welfare aziendale è necessario tenere in considerazione le preferenze personali di alcuni lavoratori. Infatti molti preferirebbero avere più denaro in busta paga piuttosto che ricevere beni e servizi di welfare. Sicuramente le agevolazioni fiscali possono aiutare ad ammortizzare i costi, e i vantaggi sul lungo termine possono rendere proficuo l’investimento, ma non per tutte le aziende è possibile iniziare tale circolo virtuoso. Infatti molte di esse, in particolare le PMI, potrebbero faticare ad avviare un piano welfare a causa del necessario investimento di denaro.
Ogni lavoratore ha diritto a piani di welfare aziendale. A seconda del settore e del CCNL di riferimento, tale diritto potrebbe essere supportato dalla normativa o potrebbe essere a discrezione del datore di lavoro.
Ad esempio, in base al CCNL del settore metalmeccanico, ne ha diritto qualsiasi lavoratore che abbia un contratto a tempo indeterminato, determinato o di apprendistato, con almeno tre mesi di anzianità. Dal 2022 questi lavoratori ricevono 200 euro di welfare ogni anno, più eventuali flexible benefit, che sono a discrezione di ogni singola azienda.
Secondo la normativa, i beni e servizi welfare devono essere messi a disposizione del lavoratore ogni anno entro il mese di giugno, al fine di dare loro la possibilità di avere sufficiente tempo a disposizione per usufruirne al meglio.
Generalmente la durata del valore del welfare aziendale è di un anno e mezzo, periodo durante il quale il lavoratore può decidere se spendere la somma o versarla su fondi pensionistici.
Sono in aumento i CCNL in cui viene inserito l’obbligo di welfare aziendale al momento del rinnovo. Ecco alcuni settori in cui è obbligatorio: metalmeccanico, turistico, delle telecomunicazioni, degli orafi e dei gioiellieri e della ristorazione.
Nei prossimi anni si potrebbe prevedere un aumento della lista di CCNL con welfare obbligatorio. Si tratta di una misura interessante il cui obiettivo è quello di incentivare la diffusione del welfare, per aumentare un generale benessere sia a livello professionale che sociale.
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